ONDINA PETEANI
Ondina Peteani (Trieste, 26 aprile 1925 - 3 gennaio 2003) è stata un'operaia e partigiana italiana, nota in quanto è considerata la prima staffetta a servire i combattenti della lotta di liberazione.
BIOGRAFIA
Operaia nei cantieri navali di Monfalcone, entra diciottenne nel Movimento di liberazione unendosi nel 1943 ai battaglioni partigiani del Carso, facendo loro da staffetta.
Arrestata due volte, riesce a eludere la sorveglianza con rocambolesche fughe, ma viene ripresa l'11 febbraio 1944 a Vermegliano e segregata nel Comando delle SS di piazza Oberdan a Trieste, da dove viene poi trasferita al carcere del Coroneo, e quindi deportata a mezzo carro bestiame al campo di concentramento di Auschwitz nel marzo successivo, dove le viene tatuato il numero 81672.
In un'intervista rilasciata a Marco Coslovich, parlando del campo dice:
"Di Auschwitz ho un ricordo stupido se si vuole - ... una sera sono andata sulla soglia della porta della baracca e c'era una luna grande. Pensavo - la vedono anche a casa mia. Mi ha preso un'angoscia, un male fisico, una nostalgia così dolorosa della mia gente, della mia terra, di casa... Avevo il terrore di non farcela e mi ricordo che ci torturavamo dicendoci - ... finirà presto la guerra, ci vedranno in questo stato e ci porteranno a casa con degli aerei. Avranno tutte le cure per noi ridotte in queste condizioni. Così in poche ore busseremo alla porta di casa e sentiremo dire - chi è ... Mamma, mamma ... E allora giù a piangere disperate".
Successivamente trasferita al campo di Ravensbruck, nell'ottobre dello stesso anno viene poi assegnata ai lavori forzati in una fabbrica presso Berlino. Qua mette in atto un programma di sabotaggio rallentando sensibilmente il ciclo produttivo grazie a continui e ripetuti controlli con la scusa della verifica dei torni e delle parti prodotte.
Il 2 aprile 1945 durante una marcia di trasferimento a Ravensbruck riesce a fuggire e a tornare a Trieste, dove giunge a luglio, alla vigilia della fine della guerra.
Del rientro a casa ne parla così:
"Emozionante è stato tornare a casa. Avevo avuto il tempo di recuperare la sensibilità e l'umanità perduta. Sono stata fra le prime a rientrare, erano i primi di luglio, tre mesi incredibili per attraversare 1300 chilometri circa, in un'Europa in ginocchio, senza più ponti, strade e ferrovie integre. Quando ho abbracciato mamma, papà ed il cane che mi è saltato addosso per farmi le feste e che mi ha riconosciuto, allora sì che ho capito di essere tornata libera".
Nel dopoguerra Ondina Peteani ha esercitato la professione di ostetrica, impegnandosi politicamente nel PCI, nell'ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d'Italia) e nelle organizzazioni sindacali.
Ai malanni fisici negli ultimi anni della sua vita si aggiunse la depressione nervosa e l'anoressia. Secondo chi le è stato vicino Ondina era rimasta segnata dalla prigionia, di cui pure parlava pochissimo, e rifiutava quel cibo che non poteva condividere con i compagni.
Ondina muore a Trieste il 3 gennaio 2003.
ONDINA VOLEVA ESSERE "RAPITA"
Ondina Peteani non è una militante politica di vecchia data ma una ragazzina che nell'agosto del 1940 ha da poco compiuto quindici anni, è nata in tempo di dittatura ed è più giovane di tutti quei ragazzi che combattono per il regime fascista. Avere quindici anni non significava non poter essere utili: da tempo uno degli incarichi di Ondina era andarsene in treno a Padova e a Udine per portare tra gli operai copie dell' "Unità" e dell' "Avanti". Questa ragazzina cresceva per certi versi a "pane e comunismo", un comunismo non da salotto o da teoria ma un comunismo rischioso che poteva portare al Tribunale Speciale. Nel 1942 lavorava come operaia al cantiere di Monfalcone e sapeva usare il "tornio a revolver"; una conoscenza che le tornerà utile ad Auschwitz. Nei suoi ricordi il ruolo dell'ambiente di lavoro è fondamentale per la crescita politica: si discuteva della Resistenza armata, anche se questa era ancora qualcosa di distante, di epico e di elettrizzante per l'adolescente. In quegli anni erano già operanti alcuni gruppi partigiani sloveni e parecchi ragazzi italiani si aggregavano a queste formazioni. I loro familiari dicevano di non saperne niente, che i loro ragazzi erano stati rapiti (ovviamente per cercar di evitare le rappresaglie fasciste nei loro confronti). In realtà tutti i giovani non vedevano l'ora di combattere e speravano di essere "rapiti".
Agli inizi del 1943 la resistenza si fa più viva e iniziano i primi sabotaggi dei partigiani.
Ondina assume il nome di battaglia di "Natalia" e viene incaricata di fare la staffetta: sarà lei la prima del movimento partigiano italiano.
Il suo compito era quello di portare informazioni tra i vari gruppi partigiani e portare loro cibo e rifornimenti.
La mattina del 28 giugno 1943 Natalia e i suoi compagni vengono però scoperti da alcuni squadristi fascisti che accerchiano la loro casa e ne catturano alcuni. Nella confusione Ondina riesce a fuggire ma viene riconosciuta come attivista comunista. Passano solo pochi giorni, il 2 luglio viene arrestata dalla polizia e condotta nel carcere femminile dei Gesuiti. Dopo l'Armistizio, reso noto l'8 settembre, la folla libera le carceri e Ondina decide di unirsi ai partigiani.
Appena arrivata a casa si accorge però di essere braccata. Un carabiniere viene a cercarla e per non essere arrestata è costretta a fuggire dalla finestra. A questo punto non rimane altro che passare alla clandestinità e combattere come si diceva allora "sul terreno". Ciò significa appoggiare le pattuglie che dalla montagna scendono verso i centri abitati per compiere azioni militari e colpi di mano.
DA PIAZZA OBERDAN AD AUSCHWITZ
Le azioni "sul terreno" provocarono la reazione dei fascisti e dei tedeschi. I partigiani si installarono nei camminamenti sotterranei costruiti dall'esercito austriaco durante la Prima Guerra Mondiale. Ovviamente occorrevano cibo, armi e vestiario ed era Ondina che doveva raccoglierli per consegnarli alle pattuglie.
La ragazza era però costretta a salire in montagna poichè era troppo conosciuta e si sentiva più sicura con gli uomini del "Battaglione Triestino".
"Dopo una settimana di permanenza lassù, decisi di scendere con la pattuglia per provvedermi di alcuni capi di vestiario invernali e incontrare un sostenitore con cui avevo appuntamento che mi avrebbe portato medicinali, denaro e anche qualche arma. La notte dell'11 febbraio 1944, mentre tornavo al mio battaglione, venni catturata da una pattuglia di tedeschi in perlustrazione e venni portata al comando delle SS in piazza Oberdan a Trieste".
Ondina non era stata catturata insieme ad altri, cosa che l'avrebbe fatta immediatamente identificare come partigiana operativa. Durante l'interrogatorio raccontò di essere stata arrestata mentre si recava dal fidanzato. Per venti giorni venne trattenuta nelle celle del Comando delle SS e poi trasferita al carcere "Coroneo" ai primi di marzo. Mentre era in carcere le azioni della Resistenza continuavano in tutta la provincia di Trieste e i nazisti rispondevano con rastrellamenti e feroci rappresaglie.
A causa degli attentati partigiani i nazisti iniziarono a prelevare dalle carceri triestine alcuni prigionieri che venivano impiccati pubblicamente.
Ondina era in gravissimo pericolo: ad ogni rappresaglia poteva essere il suo turno. Alla fine di maggio era però nell'elenco di quelle che dovevano essere deportate e il 31 dello stesso mese, nel 1944, partì all'alba dalla stazione di Trieste, non dal solito binario ma su quello dei silos da dove partivano i treni merci. Difatti, da quel momento tali erano considerati: "stavano partendo circa duecento pezzi e pezzi ci calcolarono da quel momento, ma noi non lo sapevamo ancora, per cui credemmo di partire in 200 persone di cui 40 donne".
Nonostante a causa della Resistenza Ondina fu deportata ad Auschwitz, nel 1990 lascia questa poesia come testimonianza, esprimendo il senso di tutta la sua vita:
OSTINATAMENTE, ORA E SEMPRE Resistenza!
Resistenza contro l’aggressore nazifascista.
Resistenza in Cantiere e in Fabbrica. Resistenza di casa in casa.
Resistenza mentre le pallottole fischiavano sopra la testa.
Resistenza sotto interrogatorio.
Resistenza in Carcere.
Resistenza davanti ai miei aguzzini al comando SS di Piazza Oberdan a Trieste dove venni segregata.
Resistenza mentre mi si tatuava il numero 81672 sul braccio.
Resistenza contro la perdita di dignità e l’annientamento di umanità.
Resistenza contro una fame demoniaca.
Resistenza al latrare di cani aizzatici contro.
Resistenza al sottile desiderio di lanciarsi contro il filo spinato ad alta tensione per farla finita.
Resistenza contro le bastonate e le frustate inferte dai nostri carnefici.
Resistenza contro uomini fregiati dalla svastica che di umano non avevano ormai nulla.
Resistenza per Resistere ad AUSCHWITZ stesso.
Contro ogni forma di razzismo,
contro qualsiasi discriminazione e prevaricazione razziale,
sociale, culturale e religiosa.
Ondina Peteani Trieste, 20 Aprile 1990