L'UOMO DEL BANCO DEI PEGNI
Il film "L'uomo del banco dei pegni" di Sidney Lumet, prodotto negli USA nel 1965, parla di un ex professore, Sol Nazerman, scampato al campo di concentramento ed emigrato in America, che fa l'usuraio ad Harlem, per conto di un uomo di colore, malavitoso. Entrata campo di Auschwitz Nazerman è un uomo reso indifferente al dolore altrui dagli orrori del suo passato, che appaiano in rapidissimi flashback, richiamati da associazioni mentali improvvise:
- l'abbaiare di un cane fa riaffiorare il ricordo dei pastori tedeschi, istigati dalle SS, le urla nella notte di alcuni teppisti che riecheggiano le grida dei prigionieri del Lager, i tratti semiti di un passeggero in metropolitana, si sovrappongono nella memoria, ai volti degli Ebrei deportati. Di fronte ai disperati che sfilano nel banco dei pegni e gli cedono gli ultimi averi, in cambio di pochi dollari resta impassibile, come se ciò che gli è stato fatto rendesse insignificante qualunque altra sofferenza. Notevole in questo senso è la sequenza in cui una ragazza emaciata, il ventre gonfio per l'avanzata gravidanza, impiega un anello credendolo di valore. Mentre le dice che la pietra dell'anello è di vetro, Nazerman non prova alcuna pietà: rivide le mani dei nazisti togliere gli anelli dalle mani delle Ebree tese oltre il reticolato del campo e il suo cuore si indurisce. Solo quando Jesus, il commesso portoricano, che vede in lui un maestro nell'arte degli affari e gli ha turbato una aperta ammirazione, viene colpito a morte, per salvarlo nel corso di una rapina, Nazerman ritrova la capacità di soffrire. Rivide a uno a uno i volti degli umiliati e offesi a cui ha negato la sua pietà e sfoga la sua disperazione traffiggendosi la mano con la punta acuminata in cui infilza le ricevute: l'Ebreo si è "crocifisso" riparando la sua colpa antica e in questo modo ha riacquistato la sua umanità. Fotografato in bianco e in nero, nitido e contrastato che, con gli accordi di Quincy Jones, rende bene la desolazione metropolitana, "L'uomo del banco dei pegni" affronta il dramma della diversità ebraica, evitando i toni ricattatori e la facile commozione con un personaggio che proprio attraverso la sgradevolezza restituisce dignità alla figura dell'Ebreo.