L’OPPOSIZIONE AL NAZISMO

LA ROSA BIANCA

La Rosa Bianca è il nome di un gruppo di studenti tedeschi che pagarono con la vita la loro opposizione al regime nazista. La Weiße Rose era composta da Hans Scholl, sua sorella Sophie Scholl, Christoph Probst, Alexander Schmorell, Willi Graf, tutti poco più che ventenni, cui si unì successivamente il professor Kurt Huber. Nel settembre 1930, alle elezioni per il Parlamento, il Partito Nazionalsocialista ottiene il primo di una serie di successi che l'avrebbero portato in meno di tre anni a conquistare il potere. Nonostante la contrarietà del padre, anche Hans, Inge e Sophie Scholl subiscono il fascino della propaganda del regime e iniziano a partecipare alle attività delle organizzazioni giovanili naziste, a cominciare dalla Hitler-Jugend, la Gioventù Hitleriana. Tuttavia, dopo un paio di anni, se ne allontanano, avendo compreso che non sono quegli spazi di realizzazione personale e comunitaria che avevano inizialmente immaginato. Hans si accosta quindi alla dj.1.11, un gruppo giovanile vietato dal regime, che coltiva il mito dei popoli del grande nord, dei lapponi e dei russi, e propone il lungo viaggio come strumento di ricerca della propria dimensione. Ciò porta, nel 1937, all'arresto di Hans, Inge, Werner e Sophie, che verranno poi rilasciati, non potendosi provare la loro appartenenza ai movimenti vietati. All'allontanamento degli Scholl dalle idee naziste contribuisce la vasta preparazione culturale che acquisiscono nel loro cammino di ricerca umana e spirituale. Leggono Platone, Aristotele, scritti buddhisti e confuciani, il Corano e tanti altri testi. Al centro della loro attenzione, però, restano il Vangelo e le ragioni di un cristianesimo depurato dai compromessi con il potere. La lettura degli autori del rinnovamento cattolico francese sarà alla base del loro progressivo avvicinamento al cattolicesimo. Nel 1937 comincia il rapporto sentimentale ed epistolare tra Sophie e Fritz Hartnagel, allievo della scuola ufficiali di guerra a Potsdam e poi ufficiale in servizio attivo su diversi fronti della seconda guerra mondiale. Pur volendo rimanere fedele al suo compito, Fritz condivide lo stesso desiderio di giustizia e libertà di Sophie, che lo porterà ad abbracciare idealmente le ragioni della resistenza. La primavera del 1941 è l'anno dell'incontro dei membri della futura Rosa Bianca con Carl Muth e Theodor Haecker, due intellettuali cattolici anti-nazisti, il cui pensiero influenzerà molto le scelte di resistenza del gruppo. A dare ad Hans l'idea dei futuri volantini è probabile che sia stato l'arrivo in casa Scholl dei fogli clandestini con le prediche e le lettere pastorali del vescovo cattolico di Meister Clemens August von Galen, che si schiera coraggiosamente contro il nazismo. Nel giugno 1941, inizia l'attacco all'Unione Sovietica. Nel gennaio 1942 il padre degli Scholl, Robert, è denunciato da una sua impiegata per aver definito Hitler “un flagello di Dio" e per aver detto che la guerra alla Russia è un massacro insensato e che i sovietici avrebbero finito per conquistare Berlino. Prelevato dalla Gestapo e interrogato, viene rilasciato, ma successivamente verrà condannato a quattro mesi di carcere, che significheranno anche la rovina economica della famiglia.

All'inizio del maggio 1942, Sophie Scholl si trasferisce a Monaco per iniziare a frequentare l'Università e qui conosce le persone con cui condividerà le sorti della Rosa Bianca: i commilitoni di suo fratello nella seconda compagnia studentesca Willi Graf e Alexander Schmorell, l'amico di quest’ultimo Christoph Probst e il professor Kurt Huber, che tiene un corso di filosofia su Leibniz. I primi quattro volantini della Rosa Bianca sono scritti a macchina da Hans Scholl e Alexander Schmorell, ciclostilati e spediti in qualche centinaio di copie, tra il 27 giugno e il 12 luglio 1942, a indirizzi scelti a caso negli elenchi telefonici, privilegiando professori e intellettuali, o lasciati in locali pubblici, alle fermate dell'autobus, nelle cabine telefoniche, o gettati dai tram di notte. Subito la Gestapo si mette a indagare sugli autori degli scritti, senza esito. Nell'estate 1942, Hans Scholl, Schmorell e Graf partono per un tirocinio medico di tre mesi sul fronte russo, un viaggio attraverso la Polonia che li rende ulteriormente consapevoli degli orrori della guerra, e fa loro conoscere la grandezza del popolo russo e dei suoi intellettuali. Rientrati a Monaco, nelle notti del 1, 8 e 15 febbraio 1943, i membri della Rosa Bianca scrivono sui muri dell'Università e di altri edifici un'ottantina di slogan anti-hitleriani. Distribuiscono un quinto volantino, firmato “Movimento di resistenza in Germania", cui collabora anche Kurt Huber, l'unico professore di Monaco che osa fare commenti anti-nazisti nelle sue lezioni, autore anche del volantino successivo. Il 18 febbraio 1943 Hans e Sophie Scholl si recano all'Università con una valigia contenente 1500 copie del sesto volantino, da distribuire clandestinamente. Dopo averle diffuse per i vari piani dell'edificio, Sophie dà una spinta ad una risma di volantini appoggiata sulla balaustra del secondo piano, che volano nell'atrio. Un impiegato dell'Università li nota e li ferma, portandoli dal rettore, senza che essi oppongano resistenza. Vengono arrestati. Nel giro di pochi giorni la stessa sorte tocca agli altri membri della Rosa Bianca e a circa ottanta persone ad essi anche lontanamente collegate. I funzionari della Gestapo che interrogano Sophie rimangono sorpresi dal coraggio e dalla determinazione con cui la ragazza rivendica le proprie ragioni di dissenso dal nazismo e ammette le responsabilità sue e del fratello, che pure ha confessato, cercando di attribuirle interamente ad entrambi per scagionare gli altri membri della Rosa Bianca. I fratelli Scholl e Cristoph Probst vengono processati a Monaco il 22 febbraio 1943. Dichiara Sophie durante il processo: “Sono in tanti a pensare quello che noi abbiamo detto e scritto; solo che non osano esprimerlo a parole”. Dopo cinque ore, il giudice Roland Freisler emette il verdetto: “In nome del popolo tedesco. Nel processo contro Hans Fritz Scholl, Sophia Magdalena Scholl, Christoph Hermann Probst attualmente detenuti in attesa di giudizio in questo processo per favoreggiamento antipatriottico del nemico, preparazione di alto tradimento, demoralizzazione delle forze armate, il tribunale del popolo, prima sezione [...], riconosciuto in diritto che: gli imputati, in tempo di guerra, attraverso volantini hanno propagandato idee disfattiste, fatto appello al sabotaggio dell'organizzazione militare e all'abbattimento del sistema di vita nazionalsocialista del nostro popolo e insultato il Führer nel mondo più infame e con ciò favorito il nemico del Reich e demoralizzato le nostre forze armate. Essi vengono perciò puniti con la morte.

LA ROSA BIANCA. STUDENTI CONTRO IL NAZISMO - Istoreco

Essi hanno perduto per sempre i loro diritti civili”. Christoph riceve il battesimo, la comunione e l'estrema unzione dal cappellano cattolico Heinrich Sperr, e scrive alla madre: “Ti ringrazio di avermi dato la vita. A pensarci bene, non è stata che un cammino verso Dio”. Racconterà uno dei secondini: “Si sono comportati con coraggio fantastico. Tutto il carcere ne fu impressionato. Perciò ci siamo accollati il rischio di riunire ancora una volta i tre condannati, un momento prima dell'esecuzione capitale. Volevamo che potessero fumare ancora una sigaretta insieme. Non furono che pochi minuti, ma credo che abbiano rappresentato un gran regalo per loro”. “Fra pochi minuti ci rivedremo nell'eternità, dice Christoph Probst. Poi vengono condotti alla ghigliottina, senza battere ciglio. Il boia dirà di non avere mai veduto nessuno morire così. “Viva la libertà", grida Hans Scholl mentre lo portano al patibolo. Il 19 aprile 1943 vengono processati Alexander Schmorell, Willi Graf e Kurt Huber, che saranno condannati a morte e ghigliottinati nei mesi successivi. Amici e colleghi, che li avevano aiutati nella preparazione e distribuzione degli opuscoli e avevano raccolto fondi per la vedova e i figli di Probst, vengono condannati al carcere per periodi oscillanti tra i sei mesi e i dieci anni. Robert Mohr, il funzionario della Gestapo che ha condotto l'interrogatorio di Sophie e che in seguito si dimetterà e rientrerà nella polizia criminale, dichiarerà dopo la guerra: “Fino alla loro amara fine Sophie e Hans Scholl conservarono un atteggiamento che può definirsi eccezionale. Entrambi in sintonia dichiararono il senso delle loro azioni: avevano avuto come unico scopo evitare alla Germania una sventura ancora più grande e contribuire forse, da parte loro, a salvare la vita di centinaia di migliaia di soldati tedeschi, perché quando si tratta della salvezza o della rovina di un intero popolo non c'è mezzo o sacrificio che possa apparire troppo grande. Sophie e Hans Scholl furono sino all'ultimo convinti che il loro sacrificio non era stato inutile”.

La piazza dove è ubicato l'atrio principale dell'Università Ludwig-Maximilian di Monaco è stata chiamata Geschwister-Scholl-Platz in memoria di Hans e Sophie Scholl. Testo del primo volantino della Rosa Bianca: “Per un popolo civile non vi è nulla di più vergognoso che lasciarsi “governare”, senza opporre resistenza, da una cricca di capi privi di scrupoli e dominati da torbidi istinti. Non è forse vero che ogni tedesco onesto prova vergogna per il suo governo? E chi di noi prevede l'onta che verrà su di noi e sui nostri figli, quando un giorno cadrà il velo dai nostri occhi e verranno alla luce i crimini più orrendi, che superano infinitamente ogni misura? Se il popolo tedesco è già così profondamente corrotto e decaduto nel più profondo della sua essenza, da rinunciare senza una minima reazione, con una fiducia sconsiderata in una legittimità discutibile della storia, al bene supremo dell'uomo che lo eleva al di sopra di ogni creatura, ciò la libera volontà, ovverosia la libertà che ha l'uomo di influenzare il corso della storia e di subordinarlo alle proprie decisioni razionali; se i tedeschi sono già così privi di ogni individualità, se sono diventati una massa vile e ottusa, allora sì che meritano la rovina. Goethe definisce i tedeschi un popolo tragico come gli ebrei e i greci, ma oggi questo popolo sembra che sia piuttosto un gregge di adepti, superficiali, privi di volontà, succhiati fino al midollo, privi della loro essenza umana, e disposti a lasciarsi spingere nel baratro. Così sembra, ma non lo è. Ogni individuo è stato chiuso in una prigione spirituale mediante una violenza lenta, ingannatrice e sistematica; e soltanto quando si è trovato ridotto in catene, si è accorto della propria sventura. Soltanto pochi hanno compreso la rovina incombente, ed essi hanno pagato con la morte i loro eroici ammonimenti. Si parlerà ancora del destino toccato a queste persone. Se ognuno aspetta che sia l'altro a fare l'avvio all'opposizione, i messaggeri della Nemesi vendicatrice si avvicineranno sempre di più; e allora anche l'ultima vittima sarà stata gettata senza scopo nelle fauci dell'insaziabile demone. Perciò ogni singolo, cosciente della propria responsabilità come membro della cultura cristiana ed occidentale, deve coscientemente difendersi con ogni sua forza, opporsi in quest'ultima ora al flagello dell'umanità, al nazismo e ad ogni sistema simile di stato assoluto. Fate resistenza passiva, resistenza ovunque vi troviate; impedite che questa atea macchina di guerra continui a funzionare, prima che le altre città siano diventate un cumulo di macerie come Colonia, e prima che gli altri giovani tedeschi abbiano dato il loro sangue per ogni dove a causa dell'orgoglio smisurato di un criminale. Non dimenticate che ogni popolo merita il governo che tollera!”

I GIUSTI TRA LE NAZIONI

Dopo la Seconda guerra mondiale, l’espressione “Giusti tra le nazioni” è stata utilizzata per indicare i non-ebrei che hanno agito in modo eroico a rischio della propria vita per salvare la vita anche di un solo ebreo dal genocidio nazista conosciuto come Shoah. Nel 1962, una commissione guidata dalla Suprema corte israeliana ha ricevuto l'incarico di conferire il titolo onorifico di “Giusto tra le nazioni”. La Commissione, formata da personalità pubbliche volontarie, professionisti e storici, molti dei quali sono essi stessi dei sopravvissuti, per svolgere il proprio compito segue criteri meticolosi ricercando documentazioni e testimonianze che possano avvalorare il coraggio ed il rischio che i salvatori hanno affrontato per salvare gli ebrei dalla Shoah. Al “Giusto tra le nazioni" viene consegnata una speciale medaglia con inciso il suo nome, ricevono un certificato d'onore ed il privilegio di vedere il proprio nome aggiunto agli altri presenti nel Giardino dei Giusti presso il museo di Gerusalemme. Ad ogni “Giusto tra le nazioni" vienenazioni" viene dedicata la piantumazione di un albero, poiché tale pratica nella tradizione ebraica indica il desiderio di ricordo eterno per una persona cara. Dagli anni novanta tuttavia, poiché il Monte della Rimembranza è completamente ricoperto di alberi, il nome dei giusti è inciso sul Muro d'Onore eretto a tale scopo nel perimetro del Memoriale . La cerimonia di conferimento dell'onorificenza si svolge solitamente presso il suddetto museo alla presenza delle massime cariche istituzionali israeliane, ma si può tenere anche nel paese di residenza del Giusto se questi non è in grado di muoversi. Ai “Giusti tra le nazioni”, inoltre, viene conferita la cittadinanza onoraria dello Stato di Israele. A tutt'oggi, oltre 22.000 “Giusti tra le nazioni" sono stati riconosciuti. Oltre ai benefici onorifici, i “Giusti tra le nazioni” possono ricevere anche una sorta di pensione ed aiuto economico; se si trovano in difficoltà finanziarie, godono dell'assistenza sanitaria dello Stato di Israele.

Sono 417 gli italiani che hanno ricevuto sinora tale riconoscimento.

Nonostante le leggi razziali del '38 emanate dal fascismo e il ruolo aberrante svolto dalla Repubblica sociale di Mussolini nella persecuzione degli ebrei e nelle deportazioni, il contegno del popolo italiano (salvo poche eccezioni, soprattutto nei piccoli centri, come a Trieste) fu veramente esemplare; molti, pur consci del pericolo cui si esponevano, salvarono la vita a ebrei italiani e stranieri, nascondendoli nelle loro case; i partigiani accompagnarono alla frontiera svizzera centinaia di vecchi e bambini e li misero in salvo. Molti ebrei trovarono rifugio e salvezza grazie alla Chiesa cattolica, nelle parrocchie e nei monasteri, loro ospitalmente aperti. Buona parte di coloro che salvarono gli ebrei in Italia durante l'occupazione tedesca furono uomini e donne appartenenti alla Chiesa. Tra il '43 e il '45 gli ebrei perseguitati che non vennero deportati o uccisi in Italia furono circa 35.000. Circa 500 di essi riuscirono a rifugiarsi nell’Italia meridionale; 5500-6000 riuscirono a rifugiarsi in Svizzera (ma almeno altri 250-300 furono arrestati prima di raggiungerla o dopo esserne stati respinti); gli altri 29.000 vissero in clandestinità nelle campagne e nelle città, grazie all'aiuto di tanti italiani che opposero una "resistenza non armata" alla barbarie tedesca e fascista.

GIORGIO PERLASCA

Cento anni fa nasceva l’ex fascista che, tra la fine del 1944 e il gennaio 1945, salvò 5 mila ebrei ungheresi fingendosi console spagnolo a Budapest. Per l’Italia divenne un eroe solo nel 1990, dopo la nomina di Giusto tra le nazioni. “L’unico caso che io conosca” racconta Enrico Deaglio, uno dei pochi a sollevare il caso Perlasca nel 1990 è che non solo è stato in grado di impedire qualcosa ma è andato oltre. La sua vicenda è quella di una persona che da sola assume un'altra identità e agisce, rivelandosi un organizzatore straordinario. Amministrava case di 15 piani, ingannò i nazisti e gli ungheresi collaborazionisti per 45 giorni. E non è tutto. La deportazione ungherese si svolge dal luglio al dicembre del 44. La situazione è sotto l’occhio di tutti, lo sanno i giornali, la diplomazia è avvertita, in America ci sono manifestazioni. Ma Perlasca agisce comunque. Un exploit custodito in segreto nel dopoguerra, nella sua casa di Maserà in provincia di Padova, celato persino alla famiglia (che venne a sapere dell'esistenza del suo memoriale soltanto in occasione dell’ictus che lo colpì nel 1980). Un'esperienza che non ha mai dato il via a una vita di successo e affermazione personale: “No, infatti. Venne intervistato più volte da sociologi e psicologi per capire le dinamiche che vivono le persone durante fatti eccezionali. Ma nelle biografie di queste persone si scopre che fanno una cosa durante la loro vita, e poi non ne fanno altre. Un precipitato di circostanze fa sì che possano esprimersi a quei livelli, ma ciò non si ripete automaticamente dopo. Lui stesso ammetteva : “Guardi che ho fatto tutto questo perché ero solo. Se ci fosse stata la moglie probabilmente non avrebbe rischiato”. Giorgio Perlasca, nato il 31 gennaio del 1910 a Como, morì nel 1992 visse gran parte della sua vita in disparte, per via del carattere schivo e del silenzio di una comunità che non ha avuto mai la reale consapevolezza di chi fosse quel tranquillo pensionato. Assillato dalle difficoltà economiche e dalla mancanza di riconoscimenti, Perlasca non aveva nemmeno il telefono in casa, venne persino licenziato e finì per lavorare come direttore in un ristorante pur di arrivare alla pensione. Oggi è un eroe nazionale e un fiore all’occhiello per tutti. Ma è anche un po’ martire, per via del silenzio in cui ha vissuto.

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